"Quel vizietto italico"

Un esempio economico e morale

Se mai qualcuno avesse avuto il dubbio che l’allontanamento di Ferruccio De Bortoli dalla direzione del “Corriere della Sera” fosse dovuto ad un desiderio di compiacere l’ultimo inquilino arrivato a palazzo Chigi, ora può rasserenarsi. Il quotidiano di via Solferino, con gli articoli di Giavazzi e Di Vico per non parlare di Galli Della Loggia, ha sempre mostrato una sua indipendenza di giudizio nei confronti del governo. Caso mai altri editorialisti fossero stati più indulgenti, martedì 9 febbraio si è mosso anche Paolo Mieli che da qualche tempo era parso insofferente per certi atteggiamenti del premier, in particolare quelli presi verso gli scettici, che non sono “gufi”, una gli epigoni di una scuola di pensiero che esiste da almeno il 400 avanti Cristo. Mieli ha ricordato che con un debito e una spesa pubblica come la nostra, l’Italia si trova in condizioni peggiori di quelle del secolo scorso, dopo le sconfitte di Lissa e Custoza. Per cui meglio evitare certi toni baldanzosi. Un “vizietto italico” che nella storia ha rovinato parecchi suoi protagonisti, visto che quando si tratta di riconoscere il ruolo dell’Italia nel consesso internazionale, meglio attendere che siano gli altri ad esprimersi. Sostanzialmente, quanto abbiamo letto sul “Corriere della Sera” è ciò che diciamo al presidente del Consiglio e al governo dai tempi del nostro congresso nazionale del marzo scorso. Nelle ultime settimane, visto lo scontro con la Germania, le nostre preoccupazioni, davanti a quella che ci sembrava pura vanagloria da parte del governo sono aumentate. Leggendo l'articolo di Mieli, questa nostra apprensione, da quella di una sparuta minoranza che era, è iniziata evidentemente a diffondersi fino a raggiungere strati dell’opinione pubblica sempre più ampi. E’ possibile tornare ad essere interlocutori indispensabili, a condizione che la nostra credibilità e la nostra autorevolezza di giudizio non sia inficiata da nessuna remora, quale possa essere. Un partito politico, quando deve recuperare il terreno perduto, deve poter contare sulla massima trasparenza degli uomini, dei comportamenti, degli atti. Il partito repubblicano lo sa bene meglio di chiunque altro e risponderà scrupolosamente alla sua vocazione di responsabilità etica che intende poter continuare a svolgere nella vita democratica.

Roma, 10 febbraio 2016